Produzione locale
Immagine di Ludovico Mura
Il tappeto artigianale
Uno dei prodotti più rinomati dell’arte tessile di Samugheo è sicuramente il tappeto, che viene tuttora realizzato con le tecniche di lavorazione tipiche della Sardegna: a pibiones, a litzos, a tauledda, a un’indente e a lauru. La tecnica più usata è probabilmente quella a grani o a pibiones (in sardo significa acino d’uva), nella quale il filo di trama viene raccolto su una verghetta metallica per formare un grano a rilievo rispetto al tessuto. I tappeti riportano motivi decorativi floreali, geometrici, figure animali o motivi mitologici ispirati alla tradizione. I materiali utilizzati sono la lana di pecora, il cotone e il lino.
Negli anni ’60 circa, le pesanti coperte da letto vengono man mano sostituite dai copriletto più leggeri. Le coperte antiche, a quel punto, vengono utilizzate come sottotavolo nelle cucine o nei soggiorni: nasce così la cultura del tappeto, un manufatto che farà poi parte del corredo della donna.
Con il passare del tempo il tappeto di Samugheo è diventato un vero e proprio oggetto di arredamento.
Il pane di Samugheo
Le peculiarità del pane di Samugheo derivano interamente dagli originari, severi, fattori della produzione: infatti, in passato, la maggior parte delle famiglie coltivava da sé il grano duro che consumava. Periodicamente la semenza veniva avviata ai mulini ad acqua a ruota orizzontale – tre sono ancora visibili – per produrre la semola integrale da cui, attraverso diverse fasi di setacciatura con maglie sempre più fitte, si otteneva la semola, simbulla, e il fior di farina, oltre alla crusca e al cruschello. Tutti i tipi di farina venivano utilizzati per la panificazione che, così come la cottura in forno a legna, avveniva sempre in famiglia al massimo una volta alla settimana, per ottimizzare i costi e la fatica: si trattava dunque di impasti che dovevano reggere un tempo medio di conservazione senza l’ausilio degli elettrodomestici che al giorno d’oggi facilitano la nostra quotidianità.
Per questo motivo, si distingueva il tipo di pane da consumare nell’immediatezza della panificazione da quello destinato a durare almeno una settimana, così come era diverso il pane estivo da quello invernale, dato che le temperature rigide e l’impossibilità di riscaldare adeguatamente gli ambienti di lavorazione avrebbero impedito ad alcuni impasti di lievitare. Inoltre il sale era un ingrediente non prodotto localmente e perciò costoso, dunque si aggiungeva all’impasto con parsimonia. L’abitudine e un gusto ormai consolidato ha prevalso sulle mutate condizioni, per cui ancora oggi il pane di Samugheo risulta particolarmente sciapo.
Tipologie
La combinazione di tutte le variabili menzionate ha prodotto nella tradizione una gamma di pane molto vasta: si va da su tzichi, una pasta dura di semola impasta con poca acqua, a lunga lavorazione, che si faceva tutto l’anno e costituiva la matrice di molti pani cerimoniali, a su pistoccu che si preparava prevalentemente in primavera o in estate, al contrario de sa farrighingiada, e de su boffollittu, di forme diverse ma entrambi a pasta molle confezionata col semolato e tanta acqua, che venivano lavorati durante l’inverno ed erano destinati a una più lunga conservazione.
Se poi il pane avanzava e si induriva, niente paura: veniva utilizzato per preparare le prelibate suppas, ossia pane raffermo tagliato a pezzetti e cotto nel brodo di pecora, condito con formaggio ovino o salsa di pomodoro.
Fra i pani cerimoniali derivati da su tzichi occorre ricordare almeno s’angulla, il pane di Pasqua nel quale si incastonava un uovo, sa pramighedda, pane a forma di treccia decorato di nocciole per la domenica delle palme e su pane de is mortos, plasmato per simboleggiare tre teste nella ricorrenza dei morti.